Riabilitazione pre e post protesi d’anca: perché è fondamentale affidarsi a un fisioterapista

Perché è importante fare fisioterapia

L’anca fa male da mesi. Prenoti una visita ortopedica, e alla fine arriva la diagnosi: serve una protesi. L’intervento è fissato tra due o tre mesi. E nel frattempo?

L’operazione di protesi d’anca, come quella di ginocchio, è tra le più comuni in ambito ortopedico. Viene indicata in casi di artrosi avanzata, necrosi avascolare, fratture o gravi limitazioni funzionali e dolorose. Se eseguita nei tempi giusti e con le corrette indicazioni, può offrire risultati eccellenti.

Ma attenzione: non basta operarsi per stare bene. Il successo dell’intervento dipende anche, e soprattutto, dalla riabilitazione fisioterapica, sia prima che dopo l’operazione.

La fisioterapia pre-operatoria: un’opportunità spesso sottovalutata

Una volta fissata la data dell’intervento, molti pazienti restano semplicemente in attesa. Ma questo è un errore. Iniziare subito un percorso fisioterapico può fare una grande differenza:

  • Migliora il tono muscolare: l’intervento, per motivi neurofisiologici, causa spesso un rapido calo di forza e massa muscolare. Rinforzare preventivamente i muscoli, soprattutto glutei e quadricipiti, aiuta a limitare questo effetto.
  • Riduce rigidità e aderenze: un’articolazione flessibile prima dell’intervento sarà più facile da recuperare dopo. Si prevengono così limitazioni funzionali e complicanze legate alle cicatrici interne.
  • Riduce l’ansia: sapere cosa aspettarsi, come muoversi e come affrontare le prime fasi del recupero dà al paziente maggiore fiducia e sicurezza.
  • A volte evita l’intervento: in alcuni casi, una buona fisioterapia può ridurre il dolore e migliorare la mobilità al punto da rendere per il medico superflua l’operazione.

E dopo l’intervento?

Dopo l’operazione, soprattutto nelle prime settimane, il paziente viene spesso seguito da fisioterapisti in ospedale o in ambito domiciliare. Ma il recupero completo richiede un lavoro costante e prolungato nei mesi successivi:

  • È fondamentale non interrompere il percorso riabilitativo troppo presto.
  • Serve un programma personalizzato che accompagni il paziente verso il ritorno a una vita attiva, autonoma e senza dolore.

Di questo parlerò più approfonditamente in un prossimo articolo.

Conclusione

La fisioterapia, eseguita in modo mirato e con la giusta continuità, è il ponte tra la sala operatoria e il ritorno alla quotidianità. Affidarsi a un fisioterapista esperto non è un dettaglio: è una parte essenziale del trattamento.

Sempre la stessa storia o “perché non imparo mai”? Schemi relazionali ricorrenti e come uscirne

Dott.ssa Cecilia Caravaggi, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale

A volte la vita somiglia ad uno scherzo, ad una condanna, ad una perversa prova di sopportazione in cui ci viene messo davanti sempre lo stesso cruccio, lo stesso tipo di persone, le stesse dinamiche e gli stessi schemi, in cui giungiamo sempre alle stesse conclusioni e in cui, a prescindere dalle condizioni iniziali, il finale è sempre lo stesso. Ci sono infatti meccanismi in cui si continua a cadere pur cambiando i tempi, i contesti, i rapporti: “Possibile che sono sempre io quelle che deve mediare/capire/prendersi cura/sollevare gli animi/proteggere/dire le cose come stanno ecc.?” Possibile sì, soprattutto nei casi in cui chi ci conosce da sempre snocciola con gran facilità tutta una serie di aneddoti che provano di “esser sempre statə” una bambina pacifica/comprensive/più grande della sua età/allegre/ribelle. Destino o accanimento divino? O siamo “semplicemente” nate per questo?

A volte nessuna delle tre, a volte è solo che quei terreni scivolosi, quelle salite impervie, quei ruoli carichi di responsabilità o di mortificazioni, sono tutto ciò che conosciamo, da sempre, sono le uniche basi su cui sappiamo tenerci in piedi, per quanto faticose, scomode e svantaggiose per sè siano. Se infatti non esiste “il gene del ruolo”, esiste comunque l’incarico che fin da subito impariamo ad assumerci dentro casa, incarico che può essere:

  • Chiesto esplicitamente: sono i casi in cui la famiglia dice chiaramente cosa si aspetta da noi: che siamo buone, decise, coraggiose, all’altezza del cognome che portiamo, brillanti, comprensive.
  • Preso spontaneamente: sono i casi in cui (ufficialmente) nessunə ha mai chiesto nulla, ma in cui “ci si è sentite comunque” di adottare determinati atteggiamenti.

Nei casi in cui certi compiti si “assumono spontaneamente” ci sono delle situazioni che finiscono per essere dei potenti attivatori e stabilizzatori:

  • Vedere altre in difficoltà: genitore o genitori in affanno per motivi esterni (es. disagio economico, molto lavoro) o interni (es. lutto, depressione).
  • Parenti “cattive”: presenza di figure negative (es. un altre figliə, unə dei genitori, nonne o zie) che fanno soffrire unə o entrambe genitori.
  • Nessunə altre a farsi avanti: ci si accorge di una lacuna, di qualcosa che andrebbe fatto ma che nessunə fa (es. ribellarsi, consolare, proteggere).

Prendersi determinati ruoli in casa fa sì che si cresca imparando molto bene a:

  • Capire: lo stato emotivo, le necessità e le motivazioni altrui, anche quando illogiche o dannose per sé, a volte si impara anche a prevedere gli effetti collaterali di alcune decisioni.
  • Attivarsi per altre: sempre spontaneamente, sempre ogni volta che si percepisce una necessità, arrivando anche a fare cose al posto loro.
  • Prendersi responsabilità: anche se competerebbero altre, anche “gratis”, anche gravi, anche incongrue rispetto al rapporto, anche molto più grandi di sé.

… e che non si impari molto bene ad:

  • Ascoltarsi: le proprie emozioni, desideri, volontà autentiche spesso rimangono un vero mistero, non è raro che invece di sentirsi triste o arrabbiate si sentano dolori fisici.
  • Attivarsi per sé: agire per sé stesse, per migliorare la propria vita o condizione, è associato ad un senso di imbarazzo o di egoismo
  • Rispettarsi: mettere dei confini, dire di no, fermarsi, fare un passo indietro, allontanarsi da situazioni nocive: tutto questo è molto difficile

Si cresce quindi e queste sono le basi di questa crescita, sono ciò che conosciamo e che riconosciamo come familiari quando ci vengono riproposte, come un vecchio maglione che sappiamo portare anche se ci pizzica da tutte le parti e che quindi indossiamo ancora e ancora, anche quando potremmo ormai lasciarcelo alle spalle e cercare qualcosa di meglio per noi e per la nostra pelle. Infatti, quando ci si trova davanti qualcunə che ci ripropone quelle stesse dinamiche e “ci mette” in quello stesso ruolo:

  • Non ci troviamo “niente di strano” essendo una condizione relazionale in cui siamo abituate a stare da sempre.
  • Il ruolo in cui ci ritroviamo di nuovo è anche l’unico in cui ci sentiamo “brave” e con cui sentiamo di dimostrare affetto.
  • In nome di ciò che “non si è imparato molto bene a fare”, ruoli alterativi a questo metterebbero a disagio, in difficoltà.

Ed è così che anche fuori dalla famiglia ci si ri-infila nel solito ruolo, ma dopo un po’ inizia a pesare perché lo schema in cui si cade porta con sé due caratteristiche scomodissime: la prima è una visione parziale di sé in quanto alcune parti rimangono nascoste lasciando il dubbio sul fatto che siano anch’esse amabili o meno, la seconda è una mancanza di reciprocità dal momento che l’altre non è in grado di fare per sé (e quindi tantomeno per noi) quello che noi facciamo per ləi. E questo succede spesso, in rapporti di qualsiasi tipo, tanto che con il tempo ci si inizia a sentire stupide a “non imparare mai” dall’esperienza. Eppure, tutto questo non è una condanna, anche se uscirne non è facile perché richiede diversi compiti emotivamente difficili da affrontare:

  • Riconoscere il proprio contributo: spesso e volentieri ci si prende un determinato incarico prima ancora che l’altre lo richieda, lo si fa in automatico.
  • Identificare l’origine: mettere in discussione la propria storia e ciò che si è ricevuto (e non) dalla propria famiglia d’origine non è semplice.
  • Tentare qualcosa di nuovo: un nuovo modo di stare al mondo bisognerà inventarselo da sé, con tutta l’incertezza e i rischi che questo comporta, soprattutto per i cambiamenti che potrebbe portare nei rapporti costruiti fino a questo momento.

Posturale: cos’è davvero? Facciamo chiarezza

Nel 2025, il termine “posturale” viene ormai usato per indicare qualunque cosa: dalla ginnastica medica di gruppo, ai corsi in palestra con il personal trainer, fino all’errata postura davanti al computer o alle solette correttive per le scarpe.

Tutto questo perché la parola “posturale” ha perso significato, svuotata dal suo valore originario e travolta da un uso eccessivo e spesso scorretto da parte del marketing, che ne sfrutta l’associazione con l’idea di benessere.

Ma allora, cos’è veramente la rieducazione posturale?

La rieducazione posturale nasce in Francia nel secondo dopoguerra, grazie alla fisioterapista Françoise Mézières, che fu la prima a proporre una visione globale del corpo nella riabilitazione. La sua intuizione rivoluzionò l’approccio terapeutico tradizionale, portando l’attenzione sull’importanza delle catene muscolari.

Successivamente, il suo allievo Philippe Souchard elaborò e ampliò queste teorie, creando il metodo della Rieducazione Posturale Globale (RPG), oggi riconosciuto a livello internazionale e applicato anche fuori dall’Europa – basti pensare ai molti anni in cui lo stesso Souchard ha lavorato in Brasile, contribuendo alla sua diffusione globale.

Oggi, anche se entrambi ci hanno lasciato, il loro contributo rappresenta ancora un fondamento importante per molti professionisti della salute.

Infatti, medici, ortopedici e fisiatri continuano a prescrivere cicli di rieducazione posturale in caso di mal di schiena cronico, scoliosi, lombalgie, cervicalgie e altri disturbi legati alla biomeccanica del corpo.

È quindi importante fare chiarezza: la rieducazione posturale non è un generico allenamento “per stare dritti”, ma una disciplina terapeutica precisa, con obiettivi clinici, basata su valutazioni funzionali e un trattamento specifico,

Quindi, cos’è davvero la rieducazione posturale?

Può sembrare sorprendente per alcuni, ma la rieducazione posturale non nasce come un semplice esercizio terapeutico da svolgere in autonomia. Al contrario, è una terapia manuale a tutti gli effetti, paragonabile per certi versi all’osteopatia o alla fisioterapia manuale, ma distinta da queste per alcuni principi fondamentali.

La rieducazione posturale riconosce un ruolo centrale alla mano del terapista, che agisce in modo correttivo e di stimolazione, ma coinvolge attivamente anche il paziente, che deve partecipare consapevolmente al processo. Respirazione, autoconsapevolezza, mantenimento delle posizioni, stretching (allungamento) e attivazione muscolare sono componenti essenziali della seduta.

Un altro aspetto chiave è l’approccio globale: non si lavora mai su un singolo sintomo isolato, ma sull’intera catena muscolare e funzionale del corpo. Ad esempio, se un paziente lamenta un dolore cronico al collo, la causa principale potrebbe trovarsi lontano dalla zona dolorante, magari nel   diaframma, nel torace, nella colonna lombare, o addirittura nella catena posteriore che coinvolge gambe e piedi.

La rieducazione posturale parte quindi da un presupposto fondamentale: il corpo è un’unità, e ogni compenso o squilibrio, anche distante dalla zona del dolore, può essere parte del problema.

Come si svolge concretamente una seduta di rieducazione posturale?

Una seduta di rieducazione posturale è profondamente diversa da una lezione di ginnastica o da un trattamento passivo. Si tratta di un incontro individuale tra paziente e terapista, della durata di circa 45-60 minuti, in cui ogni gesto, posizione e respiro ha uno scopo preciso.

Tutto inizia con un’attenta valutazione posturale, durante la quale il terapista osserva la morfologia del corpo, i compensi, i blocchi articolari, la respirazione e le catene muscolari coinvolte. Questa fase non si limita alla zona del dolore, ma considera il corpo nella sua globalità, alla ricerca delle cause profonde del disequilibrio.

Successivamente, il terapista guida il paziente in posizioni terapeutiche di allungamento globale, spesso mantenute per diversi minuti, nelle quali si lavora sulla decompressione delle articolazioni, sull’allungamento delle catene muscolari retratte e sulla corretta attivazione muscolare. Durante queste posture, il paziente è chiamato a respirare in modo consapevole, rilassare aree in tensione e mantenere l’attenzione sul proprio corpo.

Il terapista, nel frattempo, interviene manualmente per facilitare il rilascio miofasciale, correggere lievi disallineamenti o sostenere alcune parti del corpo, senza mai forzare, ma accompagnando il corpo verso un equilibrio più funzionale.

La seduta si conclude con una riflessione condivisa tra paziente e terapista: si valutano le sensazioni, si osservano eventuali cambiamenti immediati e si costruisce un percorso personalizzato, spesso integrando consigli posturali per la vita quotidiana o piccoli esercizi da eseguire a casa.

Un concetto fondamentale: la postura non si comanda, si educa

È importante comprendere un principio chiave: non possiamo controllare volontariamente e in modo costante la nostra postura. Pensare di “stare dritti” semplicemente perché ce lo imponiamo è un’illusione. Basta provarci: dopo pochi minuti, senza accorgercene, torniamo alla posizione abituale, spesso scorretta.

La postura non è un gesto cosciente, ma una risposta automatica e profonda del nostro sistema neuromuscolare. È il risultato di abitudini, tensioni, emozioni, respirazione, stile di vita e organizzazione muscolare.

Quindi, non si può correggere a comando, ma si può educare e stimolare. Come? Attraverso terapie mirate, esercizi di allungamento globale, lavoro sulla respirazione e attivazioni muscolari guidate. In questo modo, il corpo viene progressivamente rieducato a trovare un nuovo equilibrio, più sano ed efficiente, senza sforzo cosciente.

Il cambiamento posturale reale non è forzato, ma acquisito: il corpo, se ben stimolato, impara da solo a posizionarsi meglio. E questa è la vera efficacia della rieducazione posturale.

Se sei interessato a prenderti cura della tua postura, o ti è stato indicato di farlo dal tuo medico specialista, contattami.

Dott. Andrea Grimozzi FKT

Miopia nei bambini: come riconoscerla e quando intervenire

La miopia è uno dei difetti visivi più comuni in età pediatrica e, secondo le stime più recenti, colpisce oggi un numero sempre crescente di bambini. 

Identificarla tempestivamente è fondamentale per garantire uno sviluppo visivo sano e prevenire complicazioni future. 

Ma come si riconoscono i segnali precoci? E quali sono i principali fattori di rischio e le strategie terapeutiche (dalla correzione ottica alla gestione ortottica) oggi disponibili?

Cos’è la miopia e perché è in aumento

La miopia è un difetto di rifrazione in cui i raggi luminosi si focalizzano davanti alla retina invece che su di essa, provocando una visione sfocata degli oggetti lontani. Può comparire già in età prescolare, ma tende a manifestarsi più frequentemente tra i 6 e i 14 anni, periodo in cui l’occhio è ancora in crescita.

Negli ultimi decenni, i casi di miopia infantile sono aumentati in modo significativo. Tra le cause principali troviamo l’eccessivo utilizzo di dispositivi digitali, lo scarso tempo trascorso all’aria aperta e la predisposizione genetica. Un bambino con genitori miopi, ad esempio, ha un rischio di sviluppare lo stesso difetto visivo fino a tre volte maggiore rispetto a un coetaneo senza familiarità.

Segnali precoci da non sottovalutare

Il primo passo nella gestione della miopia è saperla riconoscere. I bambini spesso non si rendono conto di vedere male e non riescono a comunicare il problema, per questo è fondamentale che genitori e insegnanti prestino attenzione a piccoli segnali che possono indicare un difetto visivo.

Tra i più comuni:

  • Avvicinarsi troppo allo schermo della TV o ai libri;
  • Strizzare frequentemente gli occhi per mettere a fuoco;
  • Mal di testa ricorrenti o affaticamento visivo dopo lo studio;
  • Difficoltà a vedere la lavagna a scuola o oggetti lontani;
  • Inclinare la testa o chiudere un occhio per migliorare la visione.

Se uno o più di questi segnali sono presenti, è importante prenotare quanto prima una visita ortottica o oculistica.

Fattori di rischio e prevenzione

Oltre alla predisposizione genetica, alcuni comportamenti possono aumentare il rischio di sviluppare miopia o favorirne la progressione. 

Tra questi:

  • Passare molte ore al giorno davanti a schermi digitali;
  • Trascorrere poco tempo all’aperto;
  • Mancanza di pause visive durante lo studio o la lettura.

Favorire uno stile di vita equilibrato è quindi fondamentale: incoraggiare i bambini a passare almeno 2 ore al giorno all’aperto e limitare l’uso di dispositivi elettronici può contribuire a ridurre il rischio.

Diagnosi precoce e opzioni di trattamento

La diagnosi tempestiva è la chiave per un trattamento efficace. 

Durante la visita ortottica vengono valutati parametri fondamentali come il visus, l’allineamento oculare e l’eventuale presenza di altri disturbi associati.

Le soluzioni terapeutiche variano a seconda dell’età e del grado di miopia:

  • Correzione ottica tradizionale: occhiali o lenti a contatto permettono di migliorare immediatamente la qualità visiva.
  • Controllo della progressione miopica: lenti speciali con zone di defocus possono rallentare l’evoluzione della miopia durante la crescita.
  • Monitoraggio avanzato: strumenti come il MiopyaMaster misurano la lunghezza assiale del bulbo oculare e permettono di prevedere l’evoluzione del difetto visivo.
  • Approccio ortottico personalizzato: esercizi visivi e riabilitazione mirata possono supportare il corretto sviluppo della visione binoculare e migliorare la capacità di messa a fuoco.

Quando intervenire?

Prima si interviene, migliori saranno i risultati. 

Diventa fondamentale una prima visita oculistica già tra i 3 e i 4 anni e controlli regolari ogni 12-18 mesi durante la crescita. In caso di familiarità o sintomi evidenti, i controlli dovrebbero essere più frequenti.

Riconoscere la miopia e agire tempestivamente significa proteggere la salute visiva del bambino nel lungo periodo e offrirgli una migliore qualità di vita, a scuola e nelle attività quotidiane.

La miopia non deve essere sottovalutata e in Oculus Hub, composto da un team multidisciplinare di specialisti, lavoriamo ogni giorno per accompagnare bambini e famiglie in un percorso di prevenzione, diagnosi e trattamento su misura.

Aggiornamenti su tecnologie innovative per la diagnosi e il trattamento dei disturbi visivi

Ambliopia e miopia nei bambini

La salute visiva dei bambini è un tema sempre più centrale, soprattutto in un’epoca in cui l’uso quotidiano di dispositivi digitali ha un impatto diretto sugli occhi e sulla qualità della visione. 

Negli ultimi anni la ricerca in ortottica e oftalmologia ha introdotto nuove tecnologie e trattamenti innovativi che stanno rivoluzionando l’approccio a due delle condizioni più diffuse: l’ambliopia (detta anche “occhio pigro”) e la miopia

Oculus Hub integra queste novità nei propri servizi, con l’obiettivo di offrire percorsi terapeutici all’avanguardia e personalizzati.

Ambliopia: la terapia interattiva con occhiali e tablet

Tradizionalmente, l’ambliopia veniva trattata con la classica benda sull’occhio migliore, una terapia spesso vissuta con difficoltà dai bambini e dalle famiglie. Oggi è disponibile un approccio innovativo che sfrutta la tecnologia per rendere il percorso più efficace e, soprattutto, più interessante e attrattivo per i piccoli pazienti.

Il trattamento prevede l’utilizzo di occhiali con filtri colorati (uno rosso e uno blu), collegati tramite un dispositivo di eyetracker a un tablet. Il software, impostato in base alla prescrizione dello specialista, crea uno spot di soppressione sull’occhio migliore, modulabile in grandezza e durata in base al livello di ambliopia.

La vera rivoluzione sta nell’esperienza del bambino: sul tablet può giocare, guardare cartoni, studiare o vedere film, trasformando la terapia in un’attività piacevole e coinvolgente. Il dispositivo riconosce automaticamente se il bambino distoglie lo sguardo e sospende il funzionamento fino a quando la fissazione non viene recuperata, garantendo un allenamento realmente efficace.

Un ulteriore punto di forza è il monitoraggio remoto da parte dello specialista (oculista o ortottista), che può seguire i progressi e adattare i parametri della terapia. Tra i professionisti abilitati alla prescrizione di questa innovazione c’è anche Federica Tortelli, ortottista e fondatrice di Oculus Hub.

Miopia: il contributo del MiopyaMaster

Un altro campo in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante è la gestione della miopia nei bambini. Il MiopyaMaster è uno strumento avanzato che, oltre a misurare il potere refrattivo dell’occhio come un comune autorefrattometro, consente di rilevare la lunghezza assiale del bulbo oculare. Questo parametro è fondamentale per monitorare la progressione della miopia, soprattutto in età evolutiva.

Grazie ai dati raccolti e all’inserimento di informazioni specifiche come: il tempo trascorso all’aria aperta, la presenza di alterazione negli assi visivi (strabismo), la familiarità e il tempo trascorso nelle attività da vicino, il MiopyaMaster è in grado di predire l’andamento della miopia fino all’età adulta. Questo consente di programmare strategie terapeutiche più mirate e di sensibilizzare genitori e bambini sull’importanza di buone abitudini visive.

Lenti per il controllo della progressione miopica

Accanto agli strumenti diagnostici, oggi sono disponibili lenti oftalmiche progettate per rallentare la progressione della miopia nei bambini e negli adolescenti. Non si tratta di una cura definitiva, ma di un metodo efficace per ridurre significativamente l’aumento annuale del difetto visivo.

Gli studi dimostrano che queste lenti possono contenere la progressione a circa 0,25/0,50 diottrie l’anno, contro aumenti che spesso superano 1 diottria in assenza di trattamento. Sono indicate a partire dai 5-6 anni, periodo critico per lo sviluppo visivo, e non presentano particolari controindicazioni, salvo nei casi di ambliopia severa non trattata o di strabismi non compensati.

Il principio alla base è quello del “defocus periferico”: mentre al centro della lente viene rispettato il potere di correzione necessario, le zone concentriche periferiche sono progettate per indurre una messa a fuoco controllata, riducendo lo stimolo che favorisce l’allungamento eccessivo del bulbo oculare.

L’approccio di Oculus Hub

Da Oculus Hub, queste innovazioni non vengono considerate come soluzioni isolate, ma come parte di un percorso multidisciplinare che coinvolge ortottisti, oculisti e altri specialisti dell’hub. L’attenzione è sempre rivolta alla personalizzazione: ogni bambino viene seguito in base alle sue caratteristiche visive, alle abitudini di vita e al contesto familiare.

La collaborazione con i genitori è un aspetto fondamentale: sono loro i primi a supportare il piccolo nel percorso terapeutico e a consolidare le buone pratiche quotidiane suggerite dagli specialisti.

SAVE THE DATE 5.10.2025

Corso Base Metodo Stazzi Multidisciplinare: Postura, Neurosviluppo e intervento nei DSA/Disprassia DCD. IN PRESENZA 5 OTTOBRE 2025 ROMA – Advanced Visual Rehabilitation

14° Edizione Data: 5 OTTOBRE 2025 DALLE ORE 9.30 ALLE 13. Accreditamento ECM: 50 crediti formativi (acquistabili separatamente). Modalità Flessibile: Asincrona (Online): Solida base teorica (circa 25 ore di videolezioni registrate). Sincrona (Pratica): Sessioni pratiche in presenza Parte Pratica Residenziale.

Anche questo anno, sono aperte le iscrizioni al Corso Base Metodo Stazzi 2025:

A chi si rivolge:

Professionisti sanitari (logopedisti, osteopati, terapisti occupazionali, neuropsicomotricisti)

Psicologi-Medici-Educatori.

Il corso fornisce gli strumenti per riconoscere i deficit visivi (in particolare del sistema

magnocellulare) nei pazienti con DSA e Disprassia, supportando attivamente il lavoro dell’ortottista, e pone l’accento sull’integrazione visuo-senso-motoria, evidenziando come la percezione e il

movimento siano interconnessi e fondamentali per trasformare un’intenzione in azione in un contesto multidisciplinare.

Tutti i dettagli li trovate nel link (se cliccate sul slide come iscriversi verrete indirizzate nella pagina del corso) oppure andate direttamente al sito WWW.ADVANCEDVISUALREHABILITATION.IT

il corso si svolge in due parti:

  • on line per la parte teorica
  • in sede per la parte pratica dove verranno approfonditi e discussi i test neurovisivi e dubbi e domande inerenti agli argomenti trattati

La parte pratica verrà svolta il 5.10.2025 dalle ore 9:00 alle 13:00 presso lo studio Oculus Reparo – Via Latina 124 int 1 – 00179 Roma.

Vedere in CAA

Nelle giornate di venerdi 1/8 e sabato 2/8, presso l’Aula Magna dell’ Istituto Giannina Gaslini di Genova, si è svolto il primo incontro internazionale sulla Sindrome Skraban Deardoff (aploinsufficienza wdr26) organizzato dall’Associazione Sorrisi Invincibili (Sorrisi Invincibili -Soli siamo Rari. Insieme siamo Invincibili.), che ha visto riunite famiglie da tutto il mondo, specialisti genetisti e professionisti riabilitatori.

In quanto ortottista di Riccardo, bimbo non verbale con un gran sorriso e tanta voglia di comunicare, affetto da questa malattia rara, sono stata inviata a tenere una relazione dalla sua famiglia, ma faccio un passo indietro:

La Sindrome di Sindrome Skraban Deardoff è una rara condizione dello sviluppo neurologico che può variare molto in gravità, ma ci sono alcuni “campanelli d’allarme” tipici che possono far sospettare questa sindrome nei primi anni di vita.

Principali campanelli d’allarme

1. Ritardo dello sviluppo motorio e del linguaggio:

Ritardi nell’acquisizione delle tappe motorie (rotolare, sedersi, camminare).

Ritardo nell’iniziare a parlare o difficoltà nel linguaggio espressivo e/o comprensivo.

2. Disabilità intellettiva:

Di grado lieve o moderato.

Talvolta accompagnata da difficoltà di apprendimento.

3. Ipotonia:

Ridotto tono muscolare, evidente già nei primi mesi di vita.

Può contribuire al ritardo motorio.

4. Tratti dismorfici del volto:

Aspetto facciale riconoscibile, anche se non sempre marcato.

( fronte ampia, sopracciglia folte, occhi distanziati (ipertelorismo), naso largo, bocca prominente).

5. Problemi comportamentali o tratti dello spettro autistico:

Alcuni bambini possono mostrare comportamenti ripetitivi, difficoltà nell’interazione sociale o sensibilità sensoriale.

6. Crisi epilettiche (meno comuni):

Alcuni casi possono presentare epilessia, anche se non è una caratteristica costante. (cit www.sorrisinvincibili.it)

Nel primo articolo del 2017 (WDR26 Haploinsufficiency Causes a Recognize Syndrome of Intellectual Disability, Seizures, Gait, and Distinctive Facial Features – PMC), la Dott.ssa Cara M Skraban at al., descrive che nel gruppo di 15 pazienti che presentavano le caratteristiche genetiche dell’aploinsufficienza wdr26, le anomalie oftalmologiche che includono strabismo e/o ambliopia  erano presenti in 9 su 14 casi, mentre in uno solo era presente la Sindrome di Marcus Gunn (1/15), assolutamente benigna e autorisolvente.

Come ortottista, ho preso in carico Riccardo nel 2024, all’età di 6anni. Riccardo presenta Anisometropia ipermetropica (OD più ipermetropia di OS) Strabismo convergente (OD>OS) Ambliopia profonda (OD). Due punti sono apparsi subito chiari:

  • Come fare a misurare la capacità visiva ad un bambino non verbale
  • Come convincerlo a seguire i trattamenti terapeutici proposti

(perché come tutti per tutti i bambini Riccardo di capricci è un esperto).

Ecco che entra in gioco la CAA, l’ esperienza sul campo, la pazienza dei genitori e la sua, e soprattutto la collaborazione fra i professionisti riabilitatori che seguono i diversi aspetti.

La comunicazione tra le diverse funzioni è essenziale quanto quella del fisico

logopedia, neuropsicomotricità… ortottica

Linguaggio, movimento, visione, è tutto connesso.

In questo caso il trattamento ortottico per riabilitare la funzione visiva e motoria si è aggiunto, a volte sovrapponendosi nel programma riabilitativo che Riccardo già seguiva (Logopedia, Neuropsicomotricità).

Utilizzando la CAA e creando appositamente per lui materiale ad hoc ( come la traduzione in CAA del libro La Benda di Pepito concesso dall’ associazione Occhi dei Bimbi) si sono potute potenziare le abilità di inseguimento, tracciamento, coordinazione occhio mano e adesso il lavoro sta vertendo sull’abilità visuo-grafo-motoria e sulla lettura, con la formulazione di parole, se non, in alcuni casi frasi semplici, soprattutto grazie al lavoro della collega logopedista Chiara Sciulli.

Un bambino non verbale non dirà mai “non vedo bene”, ecco che le visite oculistiche ed ortottiche svolte periodicamente, soprattutto in questi pazienti possono rendere più semplice e gestibili le altre difficoltà. Una frase che ripeto spesso “se non vedo bene non imparo bene” vale ancora di più per questi bambini, perché il canale visivo è la prima finestra sul mondo e sull’elaborazione delle informazioni.

Gli altri lavori presentati dai colleghi logopedisti e neuropsicomotricisti e ancora più importanti quelli dei genetisti presenti, tra cui la Dott.ssa Skraban, sono stati sicuramente arrichenti per le famiglie presenti, non di meno abbiamo chiesto loro di poterci mettere in contatto con i terapisti che seguono i loro figli per poter meglio formulare percorsi terapeutici e migliorare anche di più il lavoro che facciamo sui nostri pazienti.

Infine ringrazio dal Sig,ra Elisa Succio presidente dell’associazione Sorrisi Invincibili per aver permesso che tutto questo si realizzasse.

Federica Tortelli

Esercizi per migliorare la visione quotidiana

La vista è uno dei sensi più sollecitati nella vita di tutti i giorni, soprattutto in un’epoca in cui trascorriamo molte ore davanti a schermi di computer, tablet e smartphone. 

Questo stile di vita può portare a stanchezza oculare, visione offuscata e difficoltà nella messa a fuoco. Fortunatamente, esistono esercizi semplici e accessibili che possono aiutare a ridurre l’affaticamento visivo e migliorare la funzionalità degli occhi. 

Ecco alcune pratiche utili da integrare nella routine quotidiana.

Perché fare esercizi visivi?

La muscolatura oculare, come quella del resto del corpo, ha bisogno di essere allenata e rilassata. Gli esercizi visivi hanno lo scopo di stimolare la flessibilità e la coordinazione dei muscoli oculari, migliorare la messa a fuoco e prevenire problemi legati alla fissazione prolungata di uno schermo. 

Anche chi non presenta particolari disturbi visivi può trarre beneficio da una pratica costante.

Il metodo 20-20-20

Uno degli esercizi più semplici e consigliati da noi ortottisti è il metodo 20-20-20. 

Ogni 20 minuti, distogli lo sguardo dallo schermo e osserva un oggetto distante almeno 20 piedi (circa 6 metri) per almeno 20 secondi. Questo permette agli occhi di rilassarsi e ridurre lo stress legato al lavoro da vicino.

Messa a fuoco alternata

Seduto in posizione comoda, tieni un oggetto (come una penna) a circa 20 cm dagli occhi. Concentrati su di esso per 10 secondi percependo sempre un’immagine singola, nel caso in cui tendi a vedere doppio, strizza forte gli occhi e riprova, poi sposta lo sguardo su un oggetto distante e mantieni il fuoco per altri 10 secondi (idem come sopra). Ripeti per 5 volte, se avverti fatica o tendi a percepire le immagini doppie, è il caso di programmare una visita ortottica. 

Questo esercizio migliora la flessibilità dell’accomodazione, ovvero la capacità degli occhi di passare da vicino a lontano.

Battito delle palpebre

Spesso, davanti a uno schermo, si tende a sbattere le palpebre di meno. Questo porta a secchezza e fastidio. Ricorda di sbattere le palpebre consapevolmente per almeno 10 volte ogni 20 minuti. Aiuta a mantenere l’occhio idratato e riduce l’irritazione.

Quando rivolgersi a uno specialista

Gli esercizi visivi non sostituiscono una visita specialistica. Se soffri di frequenti mal di testa, visione doppia, difficoltà di lettura o affaticamento oculare persistente, è importante rivolgersi a un ortottista per una valutazione approfondita. L’intervento personalizzato può includere un programma di riabilitazione visiva su misura.

In Oculus Hub, la riabilitazione visiva è uno dei nostri punti di forza: offriamo valutazioni ortottiche complete e programmi di esercizi individualizzati per adulti e bambini, anche in presenza di DSA, strabismo, ambliopia o difficoltà visuo-percettive. Un approccio multidisciplinare ci consente di lavorare in sinergia con logopedisti, neuropsicologi, fisioterapisti e altri specialisti per garantire un supporto completo.

Neuropsicologia e percezione visiva: come il cervello elabora ciò che vediamo

Quando pensiamo alla vista, tendiamo a considerarla come un semplice processo legato agli occhi. In realtà, la percezione visiva è un sofisticato meccanismo neurologico: le immagini catturate dalla retina vengono trasmesse al cervello, che le decodifica, le interpreta e le integra con altre informazioni sensoriali. 

Comprendere questo collegamento tra occhi e cervello è fondamentale, perché disfunzioni neurologiche possono alterare in modo significativo il modo in cui vediamo e interagiamo con l’ambiente.

Dal segnale visivo alla percezione: un viaggio nel cervello

Il processo di percezione visiva inizia sulla retina, dove la luce viene trasformata in impulsi elettrici. Da qui, il segnale viaggia lungo il nervo ottico e raggiunge la corteccia visiva primaria, situata nel lobo occipitale del cervello. Per trasformare queste informazioni in immagini coerenti, il cervello attiva anche aree deputate alla memoria, all’attenzione e all’integrazione multisensoriale.

Questo significa che la vista non è solo vedo perché ho gli “occhi aperti”: la qualità con cui percepiamo forme, colori, distanze e movimenti dipende da un lavoro di squadra tra neuroni specializzati. Piccoli difetti lungo questo percorso possono generare distorsioni visive, difficoltà di riconoscimento e problemi di orientamento spaziale.

Le disfunzioni neurovisive: quando la percezione si altera

Alcuni disturbi neuropsicologici possono compromettere la percezione visiva, anche in presenza di occhi sani. È il caso, per esempio, delle agnosie visive, che rendono difficile riconoscere oggetti o volti noti, o dei disturbi di neglect, in cui il paziente tende a ignorare una parte del campo visivo.

Un altro aspetto delicato riguarda i disturbi dell’integrazione visuo-spaziale, spesso legati a traumi cranici o lesioni cerebrali. 

In questi casi, il paziente può faticare a leggere, scrivere, copiare figure o eseguire azioni coordinate nello spazio. Anche difficoltà apparentemente lievi, come la lentezza nell’elaborare scene complesse, possono avere un forte impatto sulla vita quotidiana, sulle relazioni e sull’autonomia.

Il ruolo dell’ortottica e della riabilitazione neuropsicologica

Fortunatamente, grazie alla sinergia tra ortottisti e neuropsicologi in Oculus Hub, è possibile intervenire con percorsi riabilitativi mirati. L’ortottica valuta la funzionalità oculare, la motilità, la convergenza e la coordinazione binoculare, mentre la neuropsicologia approfondisce l’elaborazione delle informazioni visive a livello cerebrale.

Insieme, si progettano esercizi personalizzati per stimolare aree cerebrali specifiche e migliorare la capacità del paziente di interpretare correttamente ciò che vede. Nei bambini, questo approccio integrato è prezioso per affrontare difficoltà scolastiche legate alla lettura e alla scrittura, mentre negli adulti è fondamentale nel recupero post-ictus o trauma cranico.

Perché serve un approccio multidisciplinare

Quando si parla di percezione visiva e cervello, non esiste un trattamento “standard”. 

Ogni caso è unico e richiede valutazioni approfondite e soluzioni personalizzate. Ecco perché centri specializzati come il nostro, che uniscono ortottica, neuropsicologia, logopedia e altre discipline, rappresentano la scelta più efficace per affrontare questi problemi in modo completo.

Investire nella diagnosi precoce e nella riabilitazione neurovisiva significa migliorare la qualità di vita del paziente, restituendogli autonomia, sicurezza e una visione più chiara, anche a livello cognitivo ed emotivo.

Logopedia e visione: un legame inaspettato

Perché parlare (bene) passa anche dagli occhi

Quando si pensa alla logopedia, l’immagine più comune è quella di un bambino che fatica a pronunciare correttamente alcune lettere, o di un adulto che affronta un percorso riabilitativo dopo un trauma neurologico. Quello che spesso sfugge è l’importanza della funzione visiva in tutto questo processo. 

Sì, perché parlare, leggere, scrivere e comprendere il linguaggio è anche (e soprattutto) una questione di coordinazione tra cervello, occhi e bocca.

Visione e linguaggio: connessioni che non ti aspetti

La visione non riguarda solo la capacità di “vedere bene”, ma include un insieme di abilità visuo-percettive e motorie fondamentali per lo sviluppo cognitivo e linguistico. Per esempio, un bambino con una scarsa capacità di fissazione o inseguimento visivo potrebbe faticare a stabilire un contatto visivo stabile con l’interlocutore, elemento essenziale per l’apprendimento del linguaggio.

Inoltre, la coordinazione occhio-mano e occhio-bocca incide sullo sviluppo della fonetica, della lettura e dell’articolazione. È frequente che un disturbo visivo non diagnosticato venga erroneamente interpretato come un disturbo specifico del linguaggio, quando invece si tratta di un problema visivo di base che ostacola la corretta acquisizione delle competenze linguistiche.

Disturbi visivi che possono influire sulla logopedia

Alcune condizioni visive possono interferire direttamente con lo sviluppo del linguaggio, specialmente nei bambini. Tra queste:

  • Insufficienza di convergenza: può rendere difficile mantenere la messa a fuoco durante la lettura, causando affaticamento e confusione fonologica.
  • Strabismo o ambliopia (occhio pigro): riducono la visione binoculare e la percezione dello spazio, ostacolando l’orientamento fonologico e la corretta pronuncia. L’ambliopia in particolare, se non trattata, può alterare la percezione visiva e compromettere la coordinazione tra occhi e cervello.
  • Disturbi della motilità oculare: impediscono il corretto inseguimento visivo, necessario per seguire la direzione del testo e per il riconoscimento delle lettere.
  • Difetti di vista comuni: come ipermetropia, astigmatismo o miopia, possono influire sulla capacità del bambino di mettere a fuoco i volti delle persone vicine, come quello della mamma, limitando la possibilità di imitare espressioni, movimenti labiali e gesti. Questa difficoltà di focalizzazione può tradursi in una minore stimolazione delle aree del cervello deputate al linguaggio. 

Tutti questi problemi, se non corretti, possono compromettere la qualità e l’efficacia del percorso logopedico.

Un approccio integrato: logopedista e ortottista insieme

Per questo motivo, in Oculus Hub ci muoviamo sempre in ottica di promuovere un approccio multidisciplinare alla riabilitazione, che preveda una valutazione ortottica in caso di disturbi del linguaggio, soprattutto nei bambini. L’ortottista, grazie a test specifici, può individuare deficit visivi funzionali che sfuggono a un semplice controllo oculistico e che incidono profondamente sull’apprendimento linguistico.

Quando logopedista e ortottista lavorano in sinergia, il piano terapeutico diventa più efficace. Il trattamento visivo può precedere, accompagnare o integrarsi con le sedute logopediche, accelerando i progressi e riducendo la frustrazione nei pazienti, soprattutto nei più piccoli.

Il ruolo dei genitori e della prevenzione

Anche i genitori giocano un ruolo fondamentale. Spesso sono loro i primi ad accorgersi di difficoltà nella comunicazione, nella lettura o nella scrittura. In questi casi, è importante non fermarsi a una sola valutazione, ma esplorare in modo più ampio l’origine del problema, includendo anche l’aspetto visivo.

Una visita ortottica può fare la differenza: intervenire precocemente su un deficit visivo significa mettere le basi per un migliore sviluppo linguistico e cognitivo.

Una visione d’insieme per parlare meglio

Il legame tra logopedia e visione è reale, anche se ancora (forse) poco esplorato. Ignorarlo significa rischiare di rallentare o compromettere i risultati di una terapia logopedica. Riconoscerlo, invece, permette di adottare strategie più complete ed efficaci.

Da Oculus Hub, crediamo in un approccio olistico alla salute visiva, che metta al centro il benessere globale del paziente. Per questo, nel nostro Hub, c’è forte collaborazione tra figure specializzate per offrire valutazioni e percorsi integrati su misura. 

Iscriviti alla Nostra Newsletter per rimanere sempre aggiornato.